Le particolarità della Val Resia e le 10 cose da vedere.
Con questa bella immagine del monte Canin vi diamo il benvenuto nella nostra valle e vi consigliamo di vedere alcuni punti importanti alla scoperta della cultura, delle tradizioni e della natura della valle.
Ecco i 10 punti che, per noi, meritano una visita:
- Stolvizza, il paese che conserva ancora le case di un tempo e da dove si può ammirare tutta la valle
- il sentiero Ta lipa pot, molto semplice e percorribile da tutti, un lento cammino tra boschi, cascate, torrentelli, fiori, profumi, pace, …
- il Museo della gente della Val Resia, per conoscere più da vicino le particolarità della vallata
- il Museo dell’Arrotino, per vedere gli antichi attrezzi e fotografie di questo antico mestiere e, magari, anche per far arrotare le forbici arruginite
- la pieve-santuario a Prato, la chiesa è sempre aperta e invita alla contemplazione ed alla preghiera
- la sede e centro visite del Parco delle Prealpi Giulie a Prato, per conoscere come sono fatte le montagne e le caratteristiche della flora e della fauna
- il centro culturale Rozajanska kulturska hiša a Prato (su prenotazione), per sentire la musica locale e magari provare qualche passo di danza
- il Fontanone Barman, uno spettacolo della natura, molto fresco anche d’estate
- Sella Carnizza, una conca con gli antichi stavoli dove poter anche assaggiare le specialità locali e la chiesetta di S. Anna
- la Festa dell’aglio (fine luglio), per coloro che vogliono acquistare l’aglio direttamente dai produttori.
Cenni geografici e storici
La Val Resia è una splendida conca, di origine glaciale, situata nell’area nord-orientale del Friuli Venezia Giulia al confine con la Slovenia, è attorniata da una corona di monti la cui principale cima è il monte Canin (2.587 m) ed è attraversata dal torrente Resia (in resiano Ta vilïka wöda o, anticamente, Bila).
La Val Resia e la Valle di Uccea, che è attraversata dal torrente omonimo, costituiscono il Comune di Resia la cui estensione è di 119 km².
Il capoluogo del Comune è Prato/Ravanca, le altre frazioni sono: S. Giorgio/Bila, Gniva/Njïwa, con Lischiazze/Lišćaca e Gost/Ta-na Huzdë, Oseacco/Osoanë, Stolvizza/Solbica, Coritis/Korïto e Uccea /Učja, nell’omonima vallata. Gli abitanti sono circa 1000.
Il territorio è coperto in prevalenza da boschi di pino nero, pino silvestre e faggio. Gran parte del territorio è compreso nell’area del Parco Naturale delle Prealpi Giulie.
A fondo valle le aree pianeggianti sono, in parte, destinate alla coltivazione del rinomato aglio (presidio Slowfood) e alla produzione del foraggio. Sui monti sono disseminati un po’ ovunque gli stavoli, caratteristiche costruzioni rurali un tempo abitate nel periodo estivo.
I Resiani, come tutti gli Sloveni, derivano dagli Slavi alpini (una componente degli slavi meridionali) che tra il 625 ed il 631 d.C. circa, si insediarono anche nella Valle del Fella,
compresa Resia, spingendosi presumibilmente fino in Carnia. All’epoca queste genti fondarono il primo stato slavo, la Carantania che comprendeva l’attuale Carinzia, la Slovenia ed i territori in Friuli occupati dagli slavi fino al “limes” longobardo.
Dal tardo Medioevo e per tutta l’Era Moderna la vallata dipese principalmente dall’abbazia benedettina di San Gallo in Moggio Udinese, fondata nel 1085.
Dopo il periodo della Patria del Friuli (1077 – 1420), durante il quale questa unità amministrativa e politico-religiosa era amministrata dai Patriarchi di Aquileia, il feudo di Moggio Udinese in epoca veneziana (1420 – 1797) fu guidato da un abate non residente, detto commendatario. L’abbazia fu soppressa nel 1773.
In epoca contemporanea, dopo i brevi periodi della monarchia asburgica, del regno napoleonico d’Italia (durante il quale, nel 1805, venne istituito l’attuale Comune di Resia unificando i precedenti quattro comuni o ville: San Giorgio, Gniva, Oseacco e Stolvizza) e dell’impero austriaco, dal 1866, Resia, come il Friuli, fu annessa al Regno d’Italia.
Le caratteristiche di questa valle per le quali merita una visita, oltre a quelle naturalistiche, sono: il dialetto (uno dei dialetti sloveni più arcaici), il patrimonio di narrativa orale, la danza, la musica, il canto popolare ed il tipico mestiere dell’arrotino. Degna di nota è l’architettura locale conservatasi in parte dopo i terremoti del 1976.
Aspetto linguistico – Il dialetto resiano
Il resiano si è sviluppato dallo stesso slavo alpino che sta alla base dello sloveno di oggi. Nel Medioevo il resiano faceva parte del raggruppamento dialettale sloveno detto carinziano/koroška. Dal sec. XV in poi, dopo l’annessione del Friuli alla Repubblica di Venezia, i legami di Resia con la Carinzia si sono indeboliti. Se per il suo parlare e per la sua tradizione popolare Resia appartiene chiaramente all’area slovena, gli sviluppi storici e sociali dal Rinascimento in poi hanno creato una situazione in cui i resiani stentano a identificarsi con la cultura slovena, anzi, si vedono come una popolazione ben diversa con una propria lingua e cultura. (prof. Han STEENWIJK, www.resianet.org)
La Val Resia, come si sa, si trova fuori dall’area slovenofona centrale e presenta degli aspetti specifici. È anche un’area linguisticamente specifica nell’ambito della comunità slovena in Italia, alla quale appartiene territorialmente. Il dialetto resiano ha avuto uno sviluppo del tutto indipendente dalle forme più nobili della lingua slovena. Gli abitanti della Val Resia vivono al di fuori dei confini della Slovenia e la lingua slovena quindi è difficile. Questa mancanza per i resiani non ha un grande significato in quanto non ritengono di appartenere alla matrice slovena e l’isolamento linguistico è totale, nonostante i tentativi fatti da singoli entusiasti e nonostante i moderni mezzi di comunicazione.
I resiani non vivono soltanto in una situazione di diglossia come gli altri sloveni viventi in Italia, ma nella schizoglossia, come è stato chiamato questo fenomeno dalla teoria germanica e da Pavle Merkù. Questo significa che i resiani negano l’appartenenza del loro dialetto al sistema linguistico sloveno. Sembra che il resiano possa conservarsi e svilupparsi in un contesto linguistico italiano, soltanto se gli viene conferita una posizione di lingua completa, una lingua letteraria che nelle sue forme scritte possa trasmettersi alle generazioni future. È necessario elaborare un alfabeto, una grammatica e un dizionario. (A. Rupel, Tabor “Rezija 89”, 1990)
Dopo decine di anni dalla stesura dei precedenti testi e grazie anche alle leggi di tutela a favore della minoranza slovena (482/1999, 38/2001 e 26/2007), dagli anni Novanta del secolo scorso in poi, molte sono state le iniziative volte a conservare il dialetto resiano.
A cura del linguista prof. Han Steenwijk sono stati pubblicati, a partire dal 1994, l’ortografia, la grammatica ed il vocabolario.
Corsi di ortografia e grammatica resiane sono stati ideati e realizzati, dal 2000 al 2006, dal prof. Matej Šekli.
Il prof. Roberto Dapit ha invece effettuato importanti studi sulla toponomastica di tutto il Comune di Resia con la conseguente stampa di tre volumi.
Da parecchi anni, grazie alle leggi di tutela, sono organizzati corsi di cultura locale nelle scuole.
Ogni anno vengono realizzate diverse pubblicazioni anche in resiano, tra le quali il calendario ed il periodico Naš Glas/La nostra voce.
Nel 1994 sono state apposte le prime tabelle toponomastiche bilingui.
Molto importante è anche la trasmissione radiofonica settimanale Te rozajanski glas trasmessa dalla Rai di Trieste, sezione slovena, da più di quarant’anni.
Vengono organizzati anche corsi di lingua slovena.
L’influsso della lingua italiana resta comunque forte soprattutto attraverso i mass-media ed il sistema scolastico ed il resiano è solo raramente usato tra i più giovani.
È invece nel contesto della lingua madre di riferimento, lo sloveno letterario, che il resiano
trova modo di conservarsi.
Il patrimonio di tradizione orale – Le favole
In questa valle si e conservato un interessante patrimonio orale rappresentato dalle favole, dalle fiabe, dalle leggende, dai canti popolari e da altre testimonianze.
Per quanto riguarda il patrimonio di narrativa orale il Museo della gente della Val Resia propone una apposita Sezione.
Vi sono molte favole di animali ed i protagonisti maggiormente presenti sono la volpe / lisica ed il lupo / uk.
Vi sono fiabe di re, principi e principesse. Non mancano racconti sugli esseri mitici come il Dujak, la Dujačesa, e la Gardinica, il cui nome deriva dall’aggettivo gard, ‘brutto’.
Altri esseri mitici e leggendari sono Dardej e Lol kutleć ricordati ancora oggi per la loro forza e la Kodkodeka che incendiò la sua casa e tutta Stolvizza.
Tra i canti narrativi vanno ricordati Sveti sinti Lawdić e Linčica Turkinčica. Il primo, che riflette il mito di Orfeo, narra la ricerca, da parte del protagonista Davide, del padre, della madre e dei fratelli nell’inferno con l’ausilio di una trombetta e della loro salvezza grazie al suo intervento, il secondo invece ha come protagonista Matjaž, ungˊarski kraj, Mattia Corvino il re d’Ungheria che riuscì a fuggire dalle prigioni turche grazie all’aiuto di Linčica Turkinčica, figlia del sultano. Degno di nota è la presenza in valle di canti e racconti con protagonista la Lepa Vida, qui in valle nota come Lipa Lina, Lipa Wida che, similmente a kraj Matjaž, occupa una posizione centrale nella tradizione culturale slovena anche letteraria.
Molto noti sono i canti narrativi con tema religioso quali Tïčica Arlïčica e Sveti sint’Antunišić.
Altre storie raccontano dell’occulto, dell’aldilà, della vita dei santi e delle vicende di Gesù
e di San Pietro.
Spiccano inoltre le filastrocche, gli indovinelli, i modi di dire ed i racconti di vita vissuta.
Il folklorista e accademico sloveno Milko Matičetov (1919 – 2014), uno dei maggiori esperti europei della narrativa di tradizione orale, a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso raccolse centinaia di racconti. Pubblicò numerosi studi facendo conoscere la cultura resiana al mondo scientifico internazionale.
Il libro Zverinice iz Rezije è tra le sue pubblicazioni più note.
Il linguista friulano Roberto Dapit continua il lavoro di ricerca, pubblica studi e collabora nella redazione di pubblicazioni scientifiche inerenti il patrimonio orale della Val Resia.
L’architettura – La casa e lo stavolo
Le case erano costruite con i sassi dei greti dei torrenti e dei ruscelli, legati con malta di calce e sabbia e avevano le fondamenta di pochi centimetri. Per erigerle la gente aveva fatto immensi sacrifici in termini di lavoro e di fatiche. Esse erano dello stesso stile in tutti i paesi resiani.
Avevano due piani, con ballatoio in legno in entrambi. Al primo piano c’erano le due camere da letto, alle quali si accedeva a mezzo di scale esterne che più anticamente erano di legno, successivamente di blocchi di pietra. Al secondo, cui si arrivava salendo del pari delle scale di legno poste all’esterno, c’era il fienile, con la porta alta e larga, tale da permettere a chi saliva di poter ribaltare agevolmente la gerla carica di fieno. Le case avevano normalmente due vani al piano terra, costituiti uno dalla cucina, l’altro dalla stalla. La cucina aveva il focolare e, come suppellettili, una panca, un tavolino e degli sgabelli. Ad una parete era sistemata una lunga mensola, con sopra, in mostra, le stoviglie di casa e sotto, appese a dei ganci, le caldaie di rame, secchi e recipienti vari. Nelle camere c’erano solitamente due letti matrimoniali, alti, anche a cavalletti di legno, e la cassapanca che conteneva le lenzuola di dotazione e le calze di lana.
(A. Madotto, Vivere tra le montagne, 1987)
I danni provocati dai sismi del 1976 e la conseguente ricostruzione hanno, per la quasi totalità, distrutto la tipologia architettonica tipica della Val Resia. Solo a Stolvizza, Coritis e Uccea è ancora possibile trovare case che conservano in parte queste caratteristiche. In questi ultimi decenni si sta registrando un rinnovato interesse per gli elementi architettonici locali andati persi.
Il recupero degli elementi architettonici come degli antichi mobili ed oggetti non ha solo un valore di tipo estetico ma è in qualche modo il riappropriarsi del proprio mondo andato in gran parte perso con i terremoti del 1976 e con la “modernità”.
I Resiani vivevano, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, nelle planine dalla primavera all’autunno e la vita quotidiana, come in paese, anche qui era scandita dai lavori legati all’allevamento del bestiame ed all’approvvigionamento del legname per l’inverno. Al giorno d’oggi le planine solo in parte svolgono ancora questa funzione. Nella loro ristrutturazione si tende a conservare gli elementi architettonici principali.
Al Museo della Gente della Val Resia, potrete scoprire più da vicino la storia, l’aspetto linguistico, le favole e l’architettura della Val Resia. Costituito nel 1995 ha sede a Stolvizza in una tipica casa resiana, Plocawa hïša, risalente al ‘700 e ristrutturata secondo la tipologia locale.
Il patrimonio musicale – La musica, la danza ed i costumi
Un’interessante particolarità della Val Resia è rappresentata dalla musica che accompagna la danza anch’essa unica.
Gli strumenti musicali popolari resiani sono due: il violino/cïtira, ed il violoncello/bünkula.
I suonatori imparano a suonare ad orecchio con costante esercizio senza l’ausilio di spartiti musicali.
Il violino viene suonato appoggiato al petto. La maggior parte dei suonatori oltre a suonare i brani musicali tradizionali, ne compongono anche di nuovi.
In passato, con ogni probabilità, si usava la cornamusa. Il musicologo Julijan Strajnar così riporta nel suo libro Citira: “Posso tuttavia affermare con grande sicurezza, sulla base dei risultati dell’analisi etnomusicologica, che in Resia la cornamusa era in uso ancora nel Settecento e, probabilmente, addirittura nella prima metà dell’Ottocento”.
Il violino è stato introdotto a Resia sicuramente dai Resiani che emigravano nei paesi mitteleuropei.
Il violino è quello classico il quale, però, viene adattato dai suonatori. Tale adattamento consiste nell’accorciare il ponticello in maniera tale da consentire una maggior tensione delle corde facendo sì che l’accordo risulti molto più alto del normale. Anche il violoncello viene adattato riducendo le corde da quattro a tre, di cui due sono in acciaio e la terza in fibra. Il ponticello viene preparato ed applicato dai suonatori ed è più massiccio rispetto a quello dello strumento classico. Anche l’archetto, più robusto di quello classico, viene costruito dai suonatori locali.
I suonatori mentre suonano, battono ritmicamente i piedi, alternando prima uno e poi l’altro e, per questo, suonano preferibilmente su tavolato.
La danza viene eseguita in coppia e lo schema è dettato dal ritmo di ogni brano musicale.
Ancor oggi, quando vi è l’occasione, la danza viene eseguita da tutti: bambini, giovani e
anziani.
I costumi tradizionali, riproduzione degli abiti usati in valle nei primi anni nell’Ottocento,
sono presentati dal Gruppo Folkloristivo “Val Resia” in occasione delle sue numerose esibizioni.
Il costume della giovane è composto da una sottogonna bianca/ta zdulinja kotula e dalla
camicetta bianca/srakica. Sopra la camicia va indossato il gilet/pet di velluto in tinta unita. Ad esso segue il vestito nero/ćamažot lungo fino alle caviglie, senza maniche, con scollatura a “V”. Questo viene stretto in vita da un’alta cintura/pas dello stesso colore e tessuto del gilet alla quale viene infilato un fazzoletto di cotone bianco. A completare il costume, oltre ai calzettoni bianchi/hlače in cotone lavorato e le scarpe nere, vi è un fazzoletto con stampa floreale.
Il costume della donna sposata è composto da una gonna/kotula lunga, dal giacchettino/ğüpa e la sottogonna bianca. A completare il tutto vi è un fazzoletto/focolët marrone a fiori, calzettoni lavorati di cotone bianco e le scarpe nere con fibbia.
Il costume della vedova è simile al precedente solo di colore nero.
I costumi maschili sono di due tipi: uno rappresenta il giovane, l’altro la persona facoltosa.
Il primo è composto dalla camicia bianca, da calzoni neri/bragese corti fino al ginocchio, dal gilet colorato con doppia fila di bottoni dorati e taschino sul fianco dal quale fuoriesce il fazzoletto multicolore. Ai piedi calzettoni bianchi in cotone lavorato e scarpe nere con fibbia/čriwji ziz prejo. In testa la bombetta/te nïzki klubük anch’essa nera.
Il secondo costume è composto come il precedente al quale viene aggiunta una giacca nera
con la coda/ğüpa ziz repon ed il cilindro/te visöki klubük, sempre dello stesso colore.
I costumi carnevaleschi: Lipe bile maškare. Il costume femminile è composto da tre gonne
bianche in cotone di diverse lunghezze: ta dulga, ta sridnja, ta kratka kotula. Tutte le gonne hanno l’orlo in pizzo e sono ornate da due nastri colorati che passano tutt’attorno alle gonne sopra il bordo del pizzo. La camicia è larga, bianca, con le maniche a sbuffo e polsini alti ornati da merletti. In vita, tenuti da un’alta cintura, sono sistemati nastri colorati. Le calze e le scarpe sono bianche. A coronare il costume è il cappello alto, ornato da variopinti fiori di carta. Pizzi e piccoli campanelli completano la tesa.
Il costume maschile è simile ma più semplice: al posto di tre è composto da una sola gonna
ed il cappello è più basso.
Centro culturale “Rozajanska kulturska hiša”
Nel Centro culturale Rozajanska kulturska hiša, donato dalla Slovenia nel dopo terremoto, ha sede il Gruppo Folkloristico “Val Resia” che da quasi 180 anni presenta fuori valle la tradizionale danza locale che è ancora oggi viva in valle. In questa Casa è possibile ammirare gli strumenti musicali, i costumi tradizionali e fotografie, anche d’epoca, e scoprire così da vicino questo particolare aspetto della cultura resiana.
L’artigianato tipico locale – Gli arrotini ambulanti
Una delle attività che abitualmente esercitano tanti uomini e giovani di Resia, specialmente della frazione di Stolvizza, è quella dell’arrotino ambulante. L’arrotino gira per vaste zone, spostandosi continuamente, richiamando l’attenzione delle massaie al prolungato grido annunciante il suo arrivo. Dopo aver raccolto coltelli e forbici presso le famiglie, si mette in un angolo appartato di qualche piazza, o sotto qualche porticato, e comincia il suo lavoro sulla sella della sua strana e particolare bicicletta, sulla quale è montata l’attrezzatura del mestiere, consistente nella mola più grande per affilare e una più piccola a smeriglio per lucidare gli utensili resi taglienti. Appeso più in alto c’è anche un piccolo recipiente arrugginito contenente acqua colante a gocce sulla mola mentre gira vorticosamente, azionata dal pedale. Sul portapacchi sistemato sulla parte anteriore del velocipede, legata con spago, c’è la cassetta degli attrezzi, e un’altra, contenente qualche indumento e la coperta, è collocata sul portapacchi posteriore.
Nel lontano passato gli arrotini si spostavano da una località all’altra con gli arnesi di lavoro racchiusi in una cassetta portata a spalla (krama), poi subentrò il carretto a due ruote (krosma). Dopo l’ultima guerra la bicicletta ha sostituito il carretto a due ruote spinto a mano, esso pure attrezzato per il mestiere, che ancora 20 anni fa era in dotazione di tutti gli arrotini, e che ora solo pochi anziani adoperano ancora. Questo della bicicletta è stato un grande passo avanti per la categoria: si fa meno fatica per spostarsi e si ha modo di percorrere un territorio più esteso, con più tempo da dedicare al lavoro, e più occasioni per trovarlo. Contemporaneamente al lavoro di arrotino alcuni facevano anche gli stagnini, riparando pentole e caldaie di rame e gli aggiusta-ombrelli.
Nel secolo scorso e negli anni antecedenti la prima guerra mondiale, gli arrotini resiani si erano portati fino nelle più remote località dell’Europa orientale e meridionale. Così botteghe artigiane di arrotini resiani sorsero un po’ ovunque, nelle città dell’impero austro-ungarico, della vecchia Serbia e della Romania. Altri batterono le zone più vicine del Friuli, della Slovenia e della Croazia. (A. Madotto, Pagine di Storia Resoconti di Vita Resiana 1961 – 1970, 1984).
A distanza di quasi cinquant’anni, a Resia ed in particolare a Stolvizza, vi sono ancora arrotini
che praticano questo singolare mestiere sia in forma stabile che ambulante.
Una ventina di anni fa gli arrotini di Stolvizza hanno costituito un’apposita associazione, il
C.A.M.A., che promuove diverse importanti iniziative volte alla conservazione e promozione
di questo antico mestiere. Nel 1998, nella piazza all’entrata di Stolvizza è stato collocato
il Monumento all’arrotino, un’opera in pietra e bronzo ritraente un arrotino al lavoro con,
acconto a sé il figlio, a simboleggiare il tramandare da padre in figlio questo tradizionale
mestiere. L’anno successivo è stato aperto il Museo dell’arrotino che raccoglie attrezzature,
attrezzi, fotografie e documenti. La seconda domenica di agosto, viene organizzata, sempre
a Stolvizza, la Festa dell’Arrotino che richiama centinaia di visitatori.
In questi ultimi anni l’arrotino è molto spesso presente in manifestazioni ed eventi turistici-culturali:
l’interesse del pubblico è sempre grande con viva soddisfazione degli artigiani al
lavoro circondati dagli affascinati osservatori.
Nel 1992 lo scrittore resiano Antonio Longhino ha pubblicato il libro Val Resia-Terra di
Arrotini che illustra soprattutto sul piano storico questo tipico mestiere.
All’arrotino è stata dedicata anche una tesi di laurea a cura della dott.ssa Annalena Guarnieri.
Da mestiere umile e difficile è diventato mestiere da tutelare e valorizzare e, in questo
modo, sicuramente avremo occasione di sentire ancora il richiamo o di vedere al lavoro
l’arrotino resiano.
Museo dell’arrotino
Il Museo dell’Arrotino, aperto nel 1999, si trova a Stolvizza. In esso si possono ammirare le attrezzature di un tempo (le krame, le krösme, le biciclette/köla) e quelle più moderne utilizzate dagli arrotini.
Molto interessanti anche le fotografie storiche e gli antichi documenti.
Orari e informazioni: www.arrotinivalresia.it